Claudio Giani, preside dell’Artusi: “Giusta la gavetta, ma c’è anche chi se ne approfitta”

Dal 2015, Claudio Giani è il preside dell’istituto alberghiero Artusi di Casale, un’eccellenza con 130 iscritti

«I ragazzi devono sapersi adattare, fare la gavetta. Ma questo non significa che li si possa sfruttare». Dal 2015, Claudio Giani è il preside dell’istituto alberghiero Artusi di Casale, un’eccellenza con 130 iscritti ai percorsi formativi di Enogastronomia e Sala e vendita. Sa che bar, ristoranti, locali stanno faticando a colmare i «buchi» di organico, «anche perché – spiega –, mi chiamano tutti i giorni per chiedermi se abbiamo qualcuno da segnalare».

E tra le cause indica, prima di tutto, la pandemia: «Non parlo dei miei studenti, che sono quasi tutti ben piazzati nel settore, ma è vero che chi lavorava o ambiva a lavorare nel campo della ristorazione e dell’accoglienza ha dovuto riadattarsi. Con i locali chiusi, molti hanno preso altre strade e non accettano, ora, di abbandonare il posto fisso per fare una stagione di 4 o 5 mesi».

Tuttavia, sottolinea che le difficoltà a trovare manodopera, specie tra i più giovani, a volte nascano proprio dal comportamento di alcune aziende, che dai ragazzi pretendono molto ma offrono poco, scoraggiando i potenziali dipendenti dall’afferrare al volo certe opportunità. «Non è sempre così. Ci sono realtà serie, che riconoscono perfino qualcosa agli stagisti e, a volte, trasformano la collaborazione in contratti perché possano finire la stagione – dice il preside –. Ma dobbiamo essere onesti e dire che esiste anche chi prova ad approfittarne. Capisco la crisi, ma certe paghe base andrebbero riviste». Giani, però, non vuole che passi il concetto sbagliato. Sottolinea che i giovani, spesso alla prima esperienza, non possano pensare solo agli stipendi e li invita a dimostrare impegno e voglia di imparare, prima di chiedere ai datori di lavoro il peso della busta paga e il tempo che dovranno passare in cucina, dietro il banco del bar o tra i tavoli del ristorante. «Ma le imprese devono dimostrare altrettanta serietà – aggiunge –. Per questo, io voglio incontrare i titolari delle strutture in cui mandiamo i nostri ragazzi in stage o di quelle che ci chiedono dei collaboratori. Allo stesso modo, dico sempre ai direttori di queste aziende di ricordarsi che, nel caso, parliamo di opportunità formative: è ovvio che i ragazzi debbano lavorare e contribuire al servizio di sala o in cucina ma devono anche imparare, non stare giornate intere a pelare patate in cucina».

Articolo di Daniele Prato pubblicato su “La Stampa” di giovedì 3 giugno 2021.

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